Il buco
testo per e immagine di Marika Colapinto
Per tre anni aveva scavato.
Negli intervalli tra un controllo e l'altro. Di giorno e di notte (quand'era giorno? Quand'era notte?).
Aveva scavato. Con le unghie, unico strumento. E quando si consumavano si sedeva in un angolo e aspettava che ricrescessero. Il tempo non mancava, una risorsa inesauribile.
Quelli venivano, calpestavano su e giù quei due metri, esaminavano ogni centimetro del suo corpo, ma il buco non l'avevano mai trovato.
Adesso era arrivato il momento di andare ma non riusciva a decidersi.
Ansie e dubbi.
Cosa c'era là fuori?
Com'era diventato il mondo?
Esisteva ancora il sole?
Esisteva ancora un fuori?
Gli interrogativi si accavallavano sempre più rapidi e indefiniti fino a diventare tachicardia.
Inspirare. Espirare.
Inspirare. Espirare.
Inspirare. Espirare.
Guardò la sua cella un'ultima volta. Uno spazio a righe.
Malinconia, furbizia e gioia si mescolavano nei suoi occhi. Non l'avrebbe più rivista ed era stata la sua casa per così tanto! Una casa pesante, obbligatoria e l'aveva abbattuta! Il sorriso si allargava.
Via! Via! Via!
La piccola telecamera registrò quello sguardo.
Era il coronamento di anni di lavoro, l'ultima dimostrazione dell'esattezza della loro teoria e gli scienziati si dedicarono un lungo, meritatissimo, applauso.