Il miradouro
testo per e foto di Giorgio Mutino
Il piccolo miradouro era ben nascosto ai piedi indiscreti dei turisti.
Ci voleva un bel coraggio ad arrampicarsi fin lassù sotto il sole implacabile riflesso dai muri chiari.
E anche ad averlo, il coraggio, ci pensavano i vicoli stretti e disordinati a sviare i passi e le macchine fotografiche.
I tavolini di un chiosco, panni stesi da finestre aperte (qualcuno cantava lì dentro?) e una caleidoscopica sequenza di tetti prima del luccicante fiume Tago.
Due vecchi danno le spalle al panorama e aspettano, pieni di ricordi, il fresco della sera.
Un ubriaco si chiede come farà ad andare via di là senza rotolare giù fino a Praça do Comércio. Per non cedere alla malinconia si fa un'altra birra.
Quattro bambini girano e girano tanto veloci da non ricordare più chi insegue e chi è inseguito. Ridono.
Tre gatte si arrostiscono sul cofano di una macchina abbandonata socchiudendo appena gli occhi per controllare che quell'odore di pesce sia irraggiungibile.
Sei formiche trasportano cinque briciole. Quella senza niente non sembra meno convinta e impegnata delle altre.
E qui, proprio qui, ho capito cosa significhi respirare.